Decesso: 18 marzo 1980, Cuernavaca, Messico
Coniuge: Baron Kuffner (s. 1934–1961), Tadeusz Łempicki (s. 1916–1931)
“Silhouette decisamente parigina. Due occhi chiari, penetranti, capelli biondi e naso greco leggermente ricurvo, labbra color carminio e unghie color ocra rossa. Altezza considerevole per una donna. Vestiti da favola, pellicce costosissime, la sua sola presenza suscita curiosità”.
Questa la descrizione in un’intervista del 1932 pubblicata dal giornale polacco Swiat dell’audace ritrattista che scandalizzò gli anni Venti e Trenta, Tamara Rosalia Gurwik-Górska (1898-1980) meglio nota con lo pseudonimo Tamara de Lempicka e il cui successo si riverbera sino ai giorni nostri. Una donna ribelle e disinibita, così amava definirsi, vissuta fra gli agi fino alla rivoluzione d’ottobre ed inizialmente avversata dai critici dell’epoca – più per l’eccentrica personalità che per l’innovativa inclinazione artistica. Nel 1914, poco prima dello scoppio del conflitto fra Germania e Russia, Tamara Górska era giunta dalla città natale Varsavia presso la ricca zia a San Pietroburgo, ove s’innamorò del giovane ed ambitissimo avvocato Tadeusz Lempicki; si sposarono con una cospicua dote due anni dopo, nella Cappella dei Cavalieri di Malta. Il loro idillio fu però interrotto dall’inizio della guerra civile con l’arresto del marito, militante controrivoluzionario collegato all’Ochrana e ricercato dai bolscevichi: per liberarlo divenne l’amante del console svedese di Pietrogrado, assieme al quale si recò a Copenaghen in attesa che Tadeusz la raggiungesse. L’inverno della rivoluzione fuggirono assieme a Parigi, meta di numerosi esuli russi, intellettuali, ex ufficiali e nobili decaduti che conducevano le loro esistenze nel malinconico rimpianto della perduta patria. Anticonformista e spregiudicata, l’affascinante artista non poteva certo rivestire il ruolo dell’avvilita emigrante, bensì – da donna emancipata qual’era – prese a dipingere, coltivando la passione per l’arte che nei viaggi in Italia aveva scoperto grazie alla nonna Clementine. Della Russia conservò le influenze dell’estetica decadente e simbolista ispirando però la sua condotta esistenziale a ben altro stile: “Le donne sono le Erinni, le Amazzoni; le Semiramide, le Giovanna d’Arco, le Giovanna Hachette; le Giuditta e le Caroline Corday; le Cleopatra e le Messalina, le guerriere che combattono più ferocemente dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici che spezzando i più fragili contribuiscono alla selezione, mediante l’orgoglio o la disperazione, la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento” scrisse Valentine de Saint-Point nel 1912. Dell’opposizione a patetici sentimentalismi e sterili fedeltà eterne la pittrice ne fece un vanto, concedendosi impetuosi amori con donne ed uomini molto spesso ritratti nelle proprie opere: a questo proposito ricordiamo i nudi della bellissima prostituta e modella Rafaëla, i ritratti di Madame P., della cantante bretone Suzy Solidor ed il famoso dipinto in cui la duchessa De la Salle, dal cui sguardo traspare tutta la sottile ambiguità, fu effigiata come un’amazzone.
Innalzata ad icona dell’Art Deco, diede forma attraverso la tela ad immagini rappresentative di un’intera epoca: nudi e ritratti dell’alta società,